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Argomenti a favore della pena di morte

Argomenti a favore della pena di morte

Salvo che per un breve periodo della mia vita, sono sempre stato favorevole alla pena di morte, e continuo ad esserlo nonostante la sua attuale impopolarità.

La ragione essenziale è questa: così come Popper nega che gli intolleranti siano meritevoli di tolleranza, io penso che chi tiene certi comportamenti che esprimono un profondo disprezzo per la vita altrui non meriti alcun rispetto per la sua.

Più semplicemente: non merita di vivere.

Esprimerò di seguito la mia opinione riguardo agli argomenti usati più di frequente dai contrari alla pena di morte. Inizierò dai più insulsi, per finire con quello che ritengo più impressionante.

  1. Lo Stato non può uccidere

Uno Stato che uccide si porrebbe sullo stesso livello degli assassini. Questo è un argomento veramente flebile: non varrebbe neppure la pena perdere tempo a confutarlo, ma è piacevole accanirsi un po’ su un obiettivo così indifeso. È semplicemente un argomento che prova troppo. Lo Stato pretende di avere il monopolio della forza. Infliggere pene spetta allo Stato, e solo allo Stato. Questo vale per la reclusione in carcere come per la morte. Se lo Stato non avesse il diritto morale di sopprimere gli assassini, non avrebbe nemmeno quello di incarcerare i sequestratori di persona.

Ed ora basta infierire.

  1. La pena di morte è antidemocratica

L’ho detto nel modo più candido possibile. Evidentemente la democrazia, il governo del popolo, non ha nulla che vedere con la natura delle pene applicate dallo Stato a chi viola le sue leggi. È vero che oggi la pena di morte è applicata soprattutto in Stati che non sono governati democraticamente, ma non capisco che cosa dovrebbe provare questo. Ammesso che la democrazia sia considerata superiore ai suoi concorrenti, la pena di morte non è comunque incompatibile con essa. Non è certo un caso che la pena di morte sia applicata regolarmente negli Stati Uniti, quella che molti considerano la più grande democrazia del mondo, e che la maggior parte dei candidati alla carica di presidente degli Stati Uniti si guardino bene dall’esprimere una totale disapprovazione di essa.

  1. La pena di morte non serve a nulla

Lo confesso: è il mio argomento preferito. Quello che più facilmente mi induce al sorriso.

È difficile stabilire se la pena di morte sia un deterrente, nel senso che la sua previsione da parte della legge renda meno probabili i crimini puniti con essa. È un problema di sociologia del diritto, per risolvere il quale ci vorrebbero studi leggermente meno sbrigativi delle sentenze di chi usa questo argomento.

Ad ogni modo, se si dimostrasse l’inesistenza di un effetto deterrente della pena di morte, ciò renderebbe tale pena inadeguata come strumento di prevenzione generale dei crimini. Tuttavia l’applicazione della pena di morte impedirebbe per sempre la reite­ra­zione del comportamento criminoso da parte dei giustiziati. Come strumento di prevenzione speciale dei crimini la pena di morte è insuperabile, perché non fallisce mai. Il giustiziato non delinque più, questa è una certezza. Accade non di rado, invece, che condannati all’ergastolo prima o poi tornino comunque in libertà, e commettano delitti magari ancora più efferati di quelli per i quali sono stati condannati. Le anime belle contrarie alla pena di morte dovrebbero sentirsi un po’ responsabili di queste nuove vittime.

Aggiungo solo che le pene hanno diverse funzioni, e quella preventiva è solo una di esse. Nel caso della pena di morte mi sembra che sia esaltata la funzione retributiva della pena. Il giustiziato ha quello che si merita. O meglio: gli viene sottratta la vita che ha dimostrato di non meritare.

  1. L’irreparabilità dell’errore giudiziario

Per il breve periodo nel quale sono stato contrario alla pena di morte, questo è stato il mio cavallo di battaglia. L’ho superato rendendomi conto che l’applicazione di una pena in conseguenza di un errore giudiziario comporta sempre danni più o meno irreparabili. È solo una questione di grado. Se ho tenuto una persona innocente in galera e scopro l’errore prima che abbia finito di scontare la sua pena, posso rimettere quella persona in libertà, e darle una somma di denaro per risarcirla del pezzo di vita che le ho sottratto. Però si tratta appunto di un risarcimento, e non di una riparazione vera e propria. Il poveretto magari ha sofferto sofferenze indicibili, è diventato un’altra persona. Ha perso occasioni di felicità che non torneranno più.

Al giustiziato, una volta scoperto l’errore, non posso restituire nulla. Posso even­tualmente risarcire gli eredi. A ben pensarci, però, lo stesso vale per il condannato all’erga­stolo, quando l’errore giudiziario viene scoperto dopo la sua morte. Anche qui ho portato ingiustamente via la vita ad una persona.

In conclusione, anche l’argomento dell’irreparabilità prova troppo. Qualunque cosa facciamo, noi rischiamo di sbagliare, e i nostri errori possono avere conseguenze più o meno tragiche.

Ciò non ci esime dalla responsabilità della decisione.

Cerchiamo di fare del nostro meglio, sapendo che non saremo mai del tutto immuni dalla possibilità dell’errore, sia che facciamo, sia che non facciamo.