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Dilemma

Dilemma

Divenuto supplente di filosofia nel principale liceo della città, il ventottenne Marco Z. divenne ben presto l’idolo delle sue studentesse. Egli attribuiva questo successo alla sua capacità di illustrare in modo accattivante la storia della filosofia. Sottovalutava evidentemente il fascino che gli derivava dalla gioventù, dai lunghi capelli biondi, dai penetranti occhi azzurri e dalla voce calma e profonda.

Al termine di una lezione, la studentessa Melissa P., ragazza quindicenne delicatamente profumata, dal fisico già maturo e dall’atteggiamento malizioso, gli consegnò un libro, dicendogli: «grazie per il libro, professore».

Marco Z. si trattenne a stento dal manifestare il suo stupore. Ricevette il libro con un sorriso, e rispose: «prego».

Poiché era l’ultima ora di lezione, mise il libro nella sua borsa, e andò via da scuola.

Durante il viaggio in metropolitana, resistette alla tentazione di estrarre il libro per esaminarlo. Aveva bisogno di farlo in perfetta solitudine, lontano da occhi indiscreti.

Giunto a casa, decise di prolungare il piacere dell’attesa. Poggiò la cartella sul letto, ed andò in bagno per lavarsi la faccia. Procedeva con deliberata lentezza, e intanto continuava a chiedersi per quale ragione Melissa P. aveva finto di restituirgli un libro che egli non le aveva mai dato.

Infine estrasse il libro dalla cartella. Si trattava della più pregevole edizione delle opere complete di Epicuro. La seconda pagina di copertina era quasi interamente occupata da una frase dalla scrittura infantile, dilatata: «Caro professore, ti va di uscire con me? Melissa». Seguivano un numero di cellulare e tanti cuoricini.

Marco Z. si sentì mancare.

Proprio quello che si aspettava, e che non sapeva come affrontare, nonostante ci avesse riflettuto per tutto il viaggio in metropolitana.

Da un lato il piacere di una conquista sin troppo facile. Il gusto di cogliere un fiore appena sbocciato.

Dall’altro, la spiacevole sensazione di qualcosa di giustamente proibito, e il terrore delle conseguenze incalcolabili.

Prese in mano il cellulare. Voleva chiamare Stefano D., suo compagno di liceo, giovane avvocato figlio d’arte, che aveva incontrato a cena appena una settimana prima. Voleva chiedergli brutalmente se avrebbe commesso un reato avendo rapporti sessuali con Melissa. Ma c’era qualcosa che gli faceva apparire sbagliata quella telefonata, e non si decideva a farla.

Infine capì. Pensò: «sto interpellando la persona sbagliata. Questo non è un problema giuridico, almeno in via principale. E’ un problema morale. Sono competente almeno quanto Stefano a risolverlo. Anzi, devo proprio risolverlo da me».

Passò allora mezz’ora ad esaminare furiosamente gli argomenti apparentemente rilevanti per la decisione.

Sapeva che in fondo egli voleva cedere a quella tentazione. La sua carne gridava Sì!, ma il suo cervello gridava altrettanto forte No!

Più volte fu sul punto di fare il numero scritto sul libro, per concordare un appuntamento con Melissa. Ogni volta desisteva, poggiava il cellulare e riprendeva in mano il libro. Ad un certo momento, sfogliò quest’ultimo, e si accorse che era stata evidenziata una frase, posta all’inizio della Lettera sulla felicità (a Meneceo): «Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità».

Continuò a leggere, e si soffermò su un’altra frase di quella lettera: «Una ferma conoscenza dei desideri fa ricondurre ogni scelta o rifiuto al benessere del corpo e alla perfetta serenità dell’animo, perché questo è il compito della vita felice, a questo noi indirizziamo ogni nostra azione, al fine di allontanarci dalla sofferenza e dall’ansia».

Aveva deciso.

Prese il libro, e sotto la frase scritta da Melissa, con scrittura minuta vergò queste parole: «Cara Melissa, certo che mi andrebbe di uscire con te. Sarebbe bellissimo. Però non posso, per ragioni che tu, da ragazza intelligente, sei certamente in grado di immaginare. Grazie comunque. Marco».