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I migranti portano malattie

I migranti portano malattie

Da qualche anno esistono in Italia due fazioni che si contrappongono ferocemente.

Le individuerò con gli epiteti spregiativi utilizzati di regola dagli appartenenti alla fazione opposta: razzisti e buonisti.

I primi sono tenacemente e spesso astiosamente ostili all’immigrazione in Italia di cittadini extracomunitari, specie africani ed asiatici, di religione musulmana.

I secondi sono invece favorevoli ad una estesa immigrazione, in nome principalmente di idee di fratellanza che dovrebbero ispirare la propensione alla cosiddetta “accoglienza”.

Esistono anche posizioni in qualche modo intermedie, più equilibrate per così dire, ma sono meno popolari. Troppo ghiotta l’occasione di scatenare le ghiandole surrenali quando si discute di questo tema.

Le due fazioni usano argomenti di fatto e argomenti normativi.

La cosa curiosa è che, sebbene le affermazioni di fatto in linea di principio possano essere falsificate, non c’è accordo nemmeno su di esse.

La ragione è che si tratta di affermazioni di fatto per modo di dire.

Quella che dà il titolo a questo articolo, ad esempio: I migranti portano malattie. È vera, nel senso che tra i migranti qualcuno è malato, e magari viene curato dal nostro sistema sanitario nazionale. E al tempo stesso è falsa, nel senso che non consta che in Italia vi siano state epidemie scatenate a seguito della recente, massiccia immigrazione di cittadini extracomunitari. Questi ultimi arrivano in Italia quasi sempre a seguito di viaggi estenuanti, ai quali difficilmente potrebbe sopravvivere una persona che non goda di buona salute.

Questo delle malattie è forse l’argomento più imbarazzante che suole ricorrere nei discorsi di coloro che gli avversari qualificano come razzisti.

È la stessa cosa che sento ancora oggi ripetere a proposito degli odiati piccioni. Portano malattie. Ma quali, quando, e dove?

L’argomento delle malattie è particolarmente odioso, perché tende ad evocare paure alle quali siamo tutti sensibili. È forse la sintesi della cosiddetta paura del diverso.

Questi che vengono sono diversi da noi, non c’è dubbio. Fisicamente e culturalmente. Che ciò susciti disagio è umanamente comprensibile. Da qui a vedere in loro l’incarnazione di ogni male però ce ne corre.

Gli argomenti di fatto esposti dai buonisti si riducono sostanzialmente a questo: che i migranti portano benefici al nostro paese, perché consentono di porre rimedio al calo demografico. Spesso l’argomento viene esposto dicendo che i migranti ci servono (o meglio: ci serviranno) per pagare le nostre pensioni.

Argomento flebile, per la verità. Questo vale solo per i migranti che divengono immigrati. In sostanza, che diventano cittadini italiani.

In ogni caso, si trascura più o meno consapevolmente il fatto che i vantaggi che dovrebbero essere portati dai migranti sono eventuali e molto lontani nel tempo. Nell’immediato, essi rappresentano puramente e semplicemente un costo: per soccorrerli, per mantenerli, per curarli. Nonché, quando si tratti di criminali, per custodirli nelle nostre carceri. In ogni caso il bilancio dei vantaggi e degli svantaggi può essere completamente diverso da cittadino a cittadino. Ovvio che per coloro che esercitano un’attività economica legata all’accoglienza rappresentino un vantaggio immediato. Altrettanto ovvio che i cittadini italiani che versano in situazioni di disagio tendano a vedere gli immigrati come indebiti concorrenti.

La fazione dei buonisti tuttavia si fa forza soprattutto di argomenti normativi, riconducibili in linea di massima all’obbligo della solidarietà umana.

Questo è un argomento che i cosiddetti razzisti soffrono particolarmente. Non accettano di passare per razzisti e nemmeno per egoisti. Solidarietà sì, dicono, ma prima agli italiani.

Pur essendo un argomento apparentemente forte, mi pare costituisca invece il punto più debole dei buonisti: il loro frequente atteggiamento di superiorità morale. Sino ad esibire un imbarazzante, consapevole disprezzo verso gli appartenenti alla fazione contrapposta, considerati alla stregua di animali.

Forse non è nemmeno un argomento così forte come sembra.

In primo luogo, la solidarietà non può essere illimitata. Credo sia esperienza comune, soprattutto nelle città, quella di essere assediati da questuanti (in parte stranieri, in parte italiani, questi ultimi per lo più tossicodipendenti) ogni volta che ci si sposta, a piedi o in automobile. Chiaramente non si possono soddisfare tutte le richieste, e il più delle volte, non avendo un criterio univoco di scelta, non se ne soddisfa alcuna. Nessuno di noi è biecamente egoista o totalmente altruista (salvo casi patologici, che nel caso dell’altruista valgono talvolta la nomea di santità, altre volte una dichiarazione di interdizione da parte del tribunale). La tensione tra egoismo e altruismo porta alla ricerca di un punto di equilibrio, che per ciascuno di noi si situa in una parte diversa della scala. Difficile sostenere che chi è altruista al 20% sia peggiore di chi lo è al 25%.

In secondo luogo, la solidarietà non può essere imposta. A me basta che il mio vicino non butti la sua spazzatura nel mio prato. Se poi per piccineria mi rifiuta una bottiglia di latte, pazienza. Saprò come regolarmi per il futuro.

In terzo luogo, la solidarietà manifestata dagli Stati è frutto di una scelta politica. Si tratta, in ultima analisi, di scegliere come spendere i soldi delle tasse. Una parte dei cittadini potrebbe preferire che tali soldi siano utilizzati per migliorare la pulizia delle strade della propria città, anziché per aiutare persone che vengono da un altro paese. Scelta legittima, che quando si va alle urne dovrebbe tramutarsi nel voto a favore di un partito che predica una politica dell’immigrazione prudente.

Ed ora, i miei due centesimi.

Fermo restando che le migrazioni sono fenomeni tendenzialmente inarrestabili, ci sono grandi differenze tra una politica dell’immigrazione liberale ed una restrittiva.

Sono a favore di una politica dell’immigrazione restrittiva, e spero che venga attuata in Italia quanto prima.

In primo luogo perché la politica opposta avrebbe nel breve e medio periodo costi economici che penso siano difficilmente tollerabili in un periodo di difficoltà come quello attuale.

In secondo luogo, e soprattutto, perché temo che la massiccia immigrazione di persone con culture molto diverse da quella prevalente in Italia porterebbe a conflitti difficilmente controllabili. In un secolo e mezzo non siamo riusciti a fare gli italiani, figurarsi se ci potremmo mai riuscire ospitando nel giro di pochi anni milioni di africani e di asiatici. Persone degne del massimo rispetto e magari in gran parte bisognose di aiuto. Però non si possono soddisfare i bisogni di tutti; né appare moralmente riprovevole considerare i propri bisogni meritevoli di essere soddisfatti prima di quelli degli altri.