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Il concorso

Il concorso

In una gelida serata di febbraio, Agostino Piromalli prese alloggio in una modesta pensione in via Savonarola, a pochi passi da Palazzo Maldura, ove il giorno successivo si sarebbe tenuta la prova scritta del suo concorso.

Era presto per cenare, cosicché fece una lunga passeggiata verso il centro, e giunse quasi per caso alla basilica del Santo.

Per un po’ stette ad osservare il viavai di persone indaffarate che attraversavano la grande piazza.

Poi, vinto dal freddo, decise di entrare nella basilica. Era in corso l’ultima messa.

Raggiunse la cappella con la tomba del Santo, ed osservò con attenzione foto di automobili distrutte, appiccicate qua e là.

Pensò che nei giorni successivi gli sarebbe tornato comodo l’aiuto di un santo così potente. Gli tornò in mente l’ammonimento del suo professore, un simpatico romano che somigliava vagamente a Mussolini: quel concorso era stato bandito per un candidato locale, non v’era nessuna possibilità per lui. Per non lasciare dubbi su come la pensasse, il professore aveva scosso la testa e poi aveva picchiato con le nocche della mano sinistra sulla scrivania, dicendo: «sei proprio un calabrese, eh?».

D’altra parte, Agostino era al corrente di tutto. Era il professore a non sapere che dietro la disperata cocciutaggine dell’allievo vi erano quasi trent’anni di vita passati a sognare un mondo diverso. Agostino non poteva accettare che nell’evoluto Nord si applicassero le stesse soffocanti regole del profondo Sud nel quale era cresciuto.

Mentre il prete invitava i fedeli ad andare, perché la messa era finita, Agostino si avviò verso l’uscita, fermamente convinto del suo valore, e fiducioso sull’esito positivo del concorso.