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Il maresciallo innamorato

Il maresciallo innamorato

Il maresciallo C. era scappato dalla fame del profondo Sud da circa quindici anni, quando fu destinato al comando della stazione carabinieri di un grasso paesotto dell’Emilia Romagna.

Godeva dell’alloggio di servizio, per il quale pagava solo luce e acqua. Contrariamente a molti giovani della sua età, non gli piaceva buttare soldi dalla finestra, cosicché gran parte del suo stipendio restava inutilizzata sul conto corrente di una delle tante Casse di Risparmio locali; e ciò, nonostante ogni mese una piccola sommetta si trasferisse da esso al conto della madre, per integrare la sua misera pensione.

Ebbe il torto di innamorarsi di una procace avvocatessa quarantenne, sulla quale era stato incaricato di svolgere atti di indagine.

Quella, capita la situazione, se lo rigirò a suo piacimento, e lo indusse a redigere per l’autorità giudiziaria un’informativa falsa, che avrebbe dovuto portare all’archiviazione del procedimento a suo carico.

Il maresciallo C. ebbe inoltre il torto – e questo gli fu fatale — di vantarsi della sua impresa mentre colloquiava al telefono con l’amante, mentre questa, all’insaputa di lui, era ancora sottoposta ad intercettazioni telefoniche.

Fu così che si aprì rapidamente un procedimento penale, per un paio di reati, a carico del maresciallo C.

Il pubblico ministero chiese a suo carico l’emissione di un ordine di custodia cautelare in carcere.

Il giudice delle indagini preliminari, ritenuto eccessivo il carcere, dispose invece la custodia agli arresti domiciliari.

Venti giorni dopo il tribunale del riesame, ritenuta l’insussistenza di esigenze cautelari, annullò il provvedimento del GIP.

Nel frattempo però il maresciallo era stato sospeso dal servizio.

Rimasto senza stipendio e alloggio, dopo un paio di mesi si risolse ad attendere la conclusione del procedimento disciplinare al suo paesello, a casa di sua madre, per evitare le spese dell’alloggio e gli sguardi severi dei vicini.

Telefonò pertanto a sua madre, annunciandole che quell’anno avrebbe anticipato le ferie, a causa di esigenze di servizio. La madre ne fu felice, perché quell’inverno era stato particolarmente freddo e la presenza del suo unico figlio le avrebbe portato un calore insperato.

La mattina della partenza il maresciallo C. si avviò a piedi verso la stazione ferroviaria. Pensava ad un modo accettabile di spiegare alla madre la brutta vicenda che gli era capitata, e non trovava nulla che gli sembrasse sopportabile per il vecchio cuore di costei.

Sollevò lo sguardo, e si accorse di essere di fronte alla sua caserma.

Entrò, perché partire senza salutare i suoi colleghi gli sembrò improvvisamente uno sgarbo più grande della vergogna che avrebbe provato ad incrociare i loro sguardi.

Ne trovò solo due: un giovane carabiniere scelto e il maresciallo che era stato incaricato di sostituirlo al comando della stazione.

Il dialogo tra loro fu persino più penoso di quanto si fosse aspettato.

Mentre cercava le parole giuste per congedarsi, forse definitivamente, la sua attenzione fu attirata da un cassetto aperto. Dentro era chiaramente visibile la pistola d’ordinanza del carabiniere scelto.

Esitò per qualche secondo, poi decise, e fece.

Il titolare della pistola dapprima non capì, quando vide  il maresciallo C. che se ne impadroniva.

Ebbe un attimo di terrore  quando udì lo scarrellamento dell’arma, temendo che il maresciallo volesse usarla contro i colleghi.

Durò poco però, perché il maresciallo C., una volta accertato che il colpo era in canna, con un gesto deciso si infilò in bocca quest’ultima, e premette il grilletto, e la pistola fece il suo lavoro.

Se ne parlò per due giorni di quella misteriosa morte in caserma. I particolari più imbarazzanti furono sapientemente taciuti.

Non si sa come, il comando dei carabinieri convinse la povera madre che suo figlio si era suicidato per ragioni sentimentali.

Il che, in fin dei conti, non era poi nemmeno del tutto falso.