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Lo psicanalista

Lo psicanalista

Il giovane Bruno B. giunse all’età di trent’anni senz’arte né parte, né voglia di lavorare. Aveva frequentato il migliore liceo della sua città, e si era iscritto alla facoltà di medicina. Dopo dieci anni e tre esami, capì che non si sarebbe laureato; lo capirono anche i suoi genitori, che videro svanire i loro sogni: il figlio dottore, la tranquillità economica, il prestigio sociale. Poveri vecchi.

Michele, stanco delle loro lagne e della vita grama che conduceva (pochi soldi, spesi insieme ad amici oziosi e mediocri), prese un giorno il treno per Milano, e non lo videro più.

Portò con sé quanto bastava per vivere alcuni mesi. Gli fu sufficiente, poiché era un uomo ingegnoso, e al momento di partire aveva già elaborato un piano meticoloso e dettagliato. Sapeva bene che non avrebbe sopportato a lungo un lavoro ordinario. L’insofferenza che egli provava per la fatica fisica e le attività ripetitive era tale che non prese neppure in considerazione l’idea di cercare lavoro come impiegato. Se pure l’avesse trovato, oltretutto, il guadagno che avrebbe potuto trarne sarebbe stato a mala pena sufficiente per campare stentatamente; e certo non era andato a Milano per continuare a vivere nella quasi-miseria, con l’aggravante di doversi sottoporre ad un lavoro degradante.

Bruno B. aveva deciso di fare lo psicanalista. Naturalmente non aveva alcun titolo per esercitare questa professione; ma era convinto che chiunque, con un po’ d’intelligenza e di cultura, potesse spacciarsi come psicanalista, molto più facilmente che come ginecologo o ingegnere. Visto come andarono poi le cose, qualche ragione doveva pur averla.

Bruno aveva letto qualche decina di libri sulla psicanalisi, impratichendosi del linguaggio del mestiere. Si lasciò crescere una corta barba da intellettuale, e si fece preparare da un ottico degli occhialini rotondi, con lenti finte. Quindi prese in affitto un piccolo appartamento, adibendolo a studio. Un’inserzione sul giornale, una segretaria di poche pretese, e il gioco ebbe inizio.

Dopo vent’anni Bruno si era notevolmente arricchito, e si ritirò giusto in tempo (la polizia cercò invano di eseguire un ordine di cattura nei suoi confronti). Si trasferì sotto falso nome a M., un paese della Sardegna dove lo conobbi poco prima che morisse. Mi lasciò in eredità uno scatolone pieno di quaderni manoscritti, nei quali aveva annotato sinteticamente i dati principali relativi ai suoi pazienti. Gente che gli aveva consentito di fare una vita comoda, e che era stata da lui aiutata, in qualche modo. Da quei quaderni ho tratto un libro. Si tratta di cento brevi racconti, riguardanti i principali casi di perversione sessuale trattati da Bruno B. nel corso della sua attività professionale.

Credo che questo campionario di varia umanità, raccontato nello scarno ma preciso stile di Bruno, possa suscitare la curiosità di qualche lettore (sotto quale profilo, davvero non mi interessa); per questo motivo, e per onorare la memoria di un uomo di genio, mi sono infine deciso alla pubblicazione. Solo che questa avverrà dopo la mia morte, ad opera di mia figlia, che ne trarrà i frutti — spero cospicui — dal punto di vista economico. Ho voluto lasciare il tempo alla maggior parte degli ex-pazienti di Bruno di morire anch’essi, risparmiandosi l’imbarazzo di riconoscersi come protagonisti di una delle storie. Almeno questa premura credo gli sia dovuta.