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L’uomo che sconfisse la mafia

L’uomo che sconfisse la mafia

Il colonnello Davì era un uomo di poche parole e molti fatti.

Amava le cose semplici, fatte senza fronzoli.

Conquistò il potere in modo cruento, nell’agosto del 2015, con la collaborazione di poche centinaia di suoi colleghi carabinieri, in gran parte tenenti e capitani.

Il suo primo provvedimento fu un decreto-legge col quale raddoppiò lo stipendio di carabinieri, poliziotti, agenti di custodia e appartenenti alla guardia di finanza. Fu finanziato con la riduzione del 50% di tutti gli stipendi pubblici e le pensioni di importo superiore ai tremila euro netti.

Questo provvedimento gli servì molto quando si trattò di realizzare ciò che gli stava più a cuore: l’eliminazione della mafia. Il colonnello Davì non parlò mai di combattere la mafia, ma di eliminarla. E lo fece, in un tempo sorprendentemente rapido.

Partì con un provvedimento preparatorio, il suo secondo decreto-legge. Prevedeva che la pena dell’ergastolo fosse commutata in quella di morte. Valeva anche per le pene in corso di esecuzione. Le nuove pene furono eseguite nelle quarantott’ore successive. Gli ergastolani furono condotti nei cortili delle carceri ove stavano scontando la pena, allineati, e falciati con raffiche di mitra. I loro corpi, bruciati subito dopo.

Per eliminare la mafia e le associazioni criminali analoghe il colonnello Davì agì invece in modo non ufficiale, usando la loro stessa arma: la segretezza.

Creò un corpo speciale segreto, chiamato lo Squadrone, composto da cento carabinieri scelti con criteri rigorosi e rigorosamente addestrati per il loro compito, che era quello di sopprimere “persone dannose per la comunità”.

Lo Squadrone era composto da venti squadre di cinque uomini cadauna, che agivano insieme sotto il comando di un caposquadra, chiamato comandante. I venti comandanti prendevano ordini direttamente dal colonnello Davì.

Lo Squadrone fu responsabile della sparizione misteriosa di circa settantamila persone in meno di tre anni. Persone note pubblicamente come affiliate a mafia, camorra, ndrangheta, sacra corona unita. Persone delle quali non fu mai trovato nemmeno il cadavere. I loro patrimoni, ancorché intestati a persone compiacenti, furono interamente confiscati. Più di trecentomila persone legate a questi desaparecidos furono invitate bonariamente a lasciare l’Italia, e saggiamente lo fecero. L’Italia fu ripulita dalla sua feccia peggiore.

A fronte di questo, nessuna misura fu presa nei confronti dei critici del regime, i quali poterono esprimere liberamente la loro opposizione. Semplicemente, furono ignorati.

Dopo sei anni dall’insediamento del regime, l’economia italiana si era risollevata, nonostante l’ostracismo di gran parte del mondo occidentale, grazie soprattutto ai rapporti stretti con Russia e Cina, che divennero i principali investitori nel paese.

Il colonnello Davì ritenne che fosse arrivato il momento di riconsegnare l’Italia agli italiani. Tutti i cittadini furono chiamati ad esprimere la loro volontà in merito alla permanenza del regime. Tre quarti di essi vollero proseguire, e il colonnello restò, per altri venti anni, sino a quando la stanchezza ebbe il sopravvento su di lui.

Lasciò l’Italia in ottime condizioni, sia economiche che morali.