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Nero il cane

Nero il cane

Nero, cane brizzolato, aveva questa mania apparentemente innocua, e perciò tollerata dal suo padrone: faceva apparire in strada, silenziosamente, in modo del tutto inaspettato, la sua grossa testa di incrocio di maremmano, che infilava tra due sbarre del cancello di casa. L’apparizione era pressoché contemporanea all’inizio di un furioso abbaiare, che egli rivolgeva all’ignaro passante, il quale quasi sempre si sentiva gelare il sangue, e subito dopo lo mandava, irato, a quel paese, normalmente in compagnia del padrone di Nero.

Inutile dire che questa abitudine lo rese assai impopolare nel vicinato. Un amico si premurò di avvisare il padrone di Nero, suggerendo, sia pure sommessamente, di coprire il cancello con una rete a maglie fitte, che impedisse l’estromissione della testa del cane.

Ma il padrone di Nero fece spallucce, ribadendo con sufficienza quel che sempre aveva sostenuto: il suo cane abbaiava, ma mai aveva morso chicchessia; cosicché non prese nemmeno in considerazione la cautela suggerita dall’amico.

Avvenne però un giorno che una donna gravida, spaventata a morte dalla testa abbaiante di Nero, perdesse il bambino che portava in grembo.

La mattina dopo il padrone di Nero trovò il suo cane esanime, di fronte al cancello, col cranio spappolato da una tremenda mazzata, che mani sorrette da una grande ira gli avevano inferto nel cuore della notte.

E fu il momento del padrone di Nero di provare il dolore, e l’ira, ed, infine, una penosa sensazione di impotenza.