Colonscopia
- Luglio 20th, 2012
- Agostino Mario Mela
- Raccontini
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Una mattina di luglio, alle ore 8:25, l’avvocato Gennaro Sansone entrò nell’ambulatorio di endoscopia del Policlinico di Forcella. L’autunno precedente si era prenotato per una colonscopia. Bussò educatamente, fu invitato ad entrare, ed entrò. C’era un giovane infermiere che lo guardò con aria interrogativa. «Buongiorno», disse l’avvocato Sansone, «ho una prenotazione per le otto e mezza». «Come si chiama?». «Sansone». «Bene, si accomodi sui divanetti, la chiamiamo noi quando siamo pronti».
Avvezzo alle lunghe attese al palazzo di giustizia (come quella del giorno prima: quattro ore per sentirsi leggere il dispositivo di una sentenza, se non altro favorevole al suo cliente), l’avvocato Sansone si era attrezzato con l’ultimo numero della Rivista Giuridica della Campania. Si diede subito alla lettura, con una sentenza della corte di cassazione riguardante un caso di espromissione. Ad un certo punto, sollevò lo sguardo dalla rivista, e si chiese quanti suoi colleghi, richiesti ex abrupto di dare una definizione di ‘espromissione’, sarebbero stati in grado di rispondere correttamente. Suppose che sarebbero stati pochi, anche tra quelli che si solevano definire civilisti. Riprese la lettura, soddisfatto di essere tra quei pochi. Iniziò a leggere il commento alla sentenza, e si rese subito conto che il commentatore non aveva capito granché del suo contenuto. Mentre si scandalizzava di questo, sentì pronunciare il suo nome: «signor Sansone, venga, siamo pronti».
L’avvocato Sansone guardò incredulo l’orologio: erano le 8:38, e stava per iniziare la sua colonscopia, che egli si sarebbe ritenuto fortunato di poter fare entro le undici. Non aveva fatto in tempo nemmeno a finire la lettura del commento alla prima sentenza. Fu tentato di scherzare su questa cosa, lamentandosi con l’infermiere dell’inaudito ritardo, ma non volle sfidare la sorte.
L’infermiere gli indicò svogliatamente un foglio di carta su un tavolino, con una penna sopra, e gli disse perentorio: «firmi il consenso», con l’aria di chi avrebbe percepito come un affronto il fatto che egli si mettesse a leggere che cosa stava firmando. «Ecco perché non ha detto ‘consenso informato’», pensò l’avvocato Sansone. D’altra parte, non gli venne nemmeno la tentazione di leggere. Di che cosa avrebbero potuto informarlo quelle poche righe, che egli già non conoscesse, per aver letto nei mesi precedenti tutto ciò che aveva trovato da leggere sulla colonscopia, e per essersi fatto raccontare la loro esperienza da tutti i suoi conoscenti che vi si erano già sottoposti? Dunque firmò, e fece docilmente tutto ciò che gli fu chiesto: si spogliò, si distese sul lettino, sul fianco sinistro, appoggiandosi ad una strana palla di cuoio deformabile.
Nel frattempo era entrato un medico, il quale, senza inutili preamboli, gli chiese: «allergie?». «No». «Prende farmaci?». «No». «Bene, ora le somministriamo un sedativo in vena, in modo da rendere sopportabili fastidi e dolori che sentirà. Dureranno pochi secondi, ma se diventassero insopportabili, me lo dica». «Va bene».
Il sedativo fece subito effetto: l’avvocato Sansone avvertì una piacevole sensazione di stordimento, simile a quella che provava dopo un paio di bicchieri di vino. Pensieri confusi cominciarono a balenargli nella mente. Cercò di ricordare l’articolo del codice civile dal quale si desumeva la nozione di espromissione. «Milleduecento…. milleduecentosettanta…». Non riusciva a ricordarlo.
Ad un certo momento, si chiese che cosa stesse aspettando il medico ad iniziare la colonscopia. Fu proprio allora che fu invitato a rialzarsi e a stare seduto per qualche minuto. L’avvocato Sansone non capiva. Che cosa aveva impedito di iniziare la colonscopia? Un giovane medico donna, che sino ad allora non aveva notato, lo guardò sorridente e disse: «tutto a posto signor Sansone, siamo riusciti ad arrivare sino al tenue, nessuna lesione». «Nemmeno un polipo?». «No, niente, tutto pulito».
L’avvocato Sansone stava là stupefatto, chiedendosi come fosse stato possibile che non si fosse accorto di nulla mentre gli veniva praticata la colonscopia. Per deformazione professionale, pensò per un attimo che si trattasse di una truffa: lo avevano stordito col sedativo, ed erano usciti a fumarsi una sigaretta mentre lui delirava sull’espromissione.
Poi si sentì leggermente ridicolo. Si rivestì rapidamente, e barcollando uscì dall’ambulatorio, per dirigersi all’ufficio ticket.