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Cronaca (incompleta) di una delusione

Cronaca (incompleta) di una delusione

Marco F. ha un problema. E’ stato affascinato da Martina S., una sua giovane collega, ed ora pensa di esserne innamorato.

Marco non sa molto su Martina. Sono entrati nelle Assicurazioni P. attraverso la stessa selezione. Hanno sùbito familiarizzato e si sono scambiati, abbastanza presto, indirizzi e numeri di telefono. Marco sa che Martina ha un anno meno di lui, e che abita nel vecchio quartiere ebreo, insieme ai genitori e a due sorelle. Questo è tutto. Non sa la cosa più importante, se Martina ha un fidanzato, o, comunque, un accompagnatore “privilegiato”.

L’incertezza è pesante. Se sapesse che esiste un fidanzato, Marco si metterebbe l’anima in pace – non è certo il tipo da tentare imprese disperate – e gli resterebbe solamente un leggero rammarico, destinato a dissolversi in un tempo certamente breve.

E’ dunque necessario avere questa informazione. Non esistono conoscenti comuni ai quali rivolgersi. Se pure esistessero, non tutti sarebbero egualmente buoni per Marco. Dovrebbe trattarsi di una persona fidata, di quelle che tengono la bocca chiusa; una persona disposta a farsi complice, ad immedesimarsi, evitando la cialtronesca ironia che i più, in tale situazione, sono soliti infliggere al malcapitato bisognoso d’informazioni.

Nessuna persona, manco a dirsi, fa al caso di Marco.

Non resta che saperlo direttamente da Martina. Alcuni indizi depongono a favore di Marco. Anzitutto, Martina non porta anelli. Naturalmente, ciò di per sé non vuol dire molto. Non si può dire che esista una relazione costante tra anelli e legami sentimentali in atto. Marco questo lo sa, e non dà grande importanza a un elemento così tenue. Comunque — nessuno può dubitarne — l’assenza di anelli semplifica le cose, in qualche modo. Vero è che Martina potrebbe avere un fidanzato povero, o un’allergia per gli oggetti di metallo; oppure, semplicemente, potrebbe non aver piacere di portare anelli — tante persone, anche sposate, non amano avere pesi alle mani (ci sono anche coloro che detestano l’orologio da polso, e usano quello da tasca). Se Martina avesse un anello, però, che complicazione! Eppure Marco, dopo averci riflettuto, è giunto alla conclusione che anche la presenza di un anello avrebbe i suoi vantaggi. Consentirebbe infatti un’indagine abbastanza indiretta, e perciò poco compromettente: «che bell’anello! Chi te l’ha regalato?». La risposta a una domanda simile può troncare sùbito l’indagine, rivelando immediatamente la presenza dell’ignoto drudo, oppure consentirne un approfondimento, con domandine laterali ancora poco impegnative (per quanto, ad un certo momento, indubbiamente sospette).

Avendo la fortuna di lavorare nello stesso ufficio di Martina, Marco ha comunque a disposizione elementi più consistenti da valutare. Ogni pomeriggio, al termine della giornata di lavoro, vede Martina avviarsi alla fermata dell’autobus, nella strada perpendicolare a quella in cui hanno sede le Assicurazioni P. Marco ha più volte accompagnato alla fermata la sua collega, pur dovendo poi tornare indietro a riprendere la sua automobile. Sembra davvero strano che, in poco meno di un anno, l’eventuale compagno di Martina non sia riuscito a procurarsi nemmeno un’occa­sione per andare a prenderla all’uscita dal lavoro. Inoltre non risulta che Martina abbia mai ricevuto telefonate in ufficio da questo sempre più evanescente personaggio. Da qualche tempo Marco si è fatto attento, aguzza le orecchie con apprensione ogni volta che Martina conversa al telefono. Solo amiche e familiari, sembrerebbe.

L’evidenza, dunque, è tutta a favore di Marco. Egli però, coscienziosamente, non si accontenta, e aggiunge qualcosa di suo per completare l’indagine. Coglie ogni occasione per parlare con Martina. Cerca di darle, apparentemente per caso, la pos­sibilità di pronunciarsi sull’argomento che a lui interessa. I risultati non sono attendibili, per tanti motivi. Martina potrebbe essere particolarmente riservata (consideriamo che vi sono altre persone nell’ufficio, con le quali Martina ha minor confidenza che con Marco), e comunque c’è da dubitare dell’efficacia della tattica un po’ troppo prudente di Marco. D’altra parte Marco è fatto così: non vuole scoprirsi, tanto più che l’oggetto delle sue attenzioni è una persona con la quale dovrà passare otto ore al giorno per molti anni a venire.

Con tutto quel che si è detto, si potrebbe pensare a Marco come a un individuo freddo e calcolatore. Marco, invece, da qualche tempo è decisamente nervoso, al punto da non riuscire a dormire che poche ore per notte. Prima di riuscire ad addormentarsi, pensa lungamente a Martina, ai sentimenti che suscita in lui, a ciò che dovrebbe fare per sentirsi felice o, perlomeno, per eliminare quella penosa sensazione di vuoto allo stomaco che lo tormenta da alcune settimane.

E’ opportuno precisare che l’attrazione di Marco per Martina non è del tutto casuale. Non nel senso, banale, che se ne possono individuare delle cause, ma nel senso che tra queste cause ve n’è una, per così dire, specifica. Consiste nel fatto che Martina si è fin dall’inizio comportata con Marco con una cordialità che egli considera assolutamente fuori della norma. E’ ben possibile che ciò sia dipeso, semplicemente, dal carattere di Martina, magari con un’accentuazione che può essere spiegata dalla necessità di trovare un punto di riferimento. Marco, infatti, è l’unico impiegato, in quell’ufficio, appartenente alla stessa generazione di Martina.

Questo avrebbe potuto pensare Marco, fino a qualche settimana fa. Prima che qualcosa di particolare succedesse in lui. Difficile dire che cosa, e perché. Martina è una ragazza dall’aspetto gradevole; riesce istintivamente simpatica, e in più sa farsi ben volere.

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(i “segni premonitori” di Marco; tentativo di sottrarsi alla passione per Martina: fuma, un po’ magra, …; sconfitta dell’“anima razionale” di Marco)

Epilogo

Infine, Marco F. cedette. Telefonò a Martina e, al termine di un discorso minuziosamente preparato nelle settimane precedenti, la invitò a cena per quella sera. Con un giro di parole grottescamente complicato — quali mostri generano le lunghe veglie notturne! — lasciò libera Martina di rifiutare tale invito se avesse avuto legami sentimentali. Lei esitò un attimo, poi cambiò bruscamente argomento. Marco comprese immediatamente che cosa gli si preparava, e si sentì gelare. Martina parlò per alcuni minuti, e con apparente noncuranza menzionò un tale, di nome Bruno, che qualificò come suo fidanzato.

Marco accusò il colpo, e fu tentato di ammettere platealmente la propria stupidità, ritirando l’invito con tante scuse. Ma ormai la frittata era fatta, e l’invito era stato accettato. Marco dovette bere sino in fondo il suo calice amaro.

Nel bosco

Passeggiando, nel buio, fra i grandi alberi del colle che sovrasta la città, Marco F., completamente ubriaco eppure perfettamente lucido, analizza la sua sofferenza. La serata appena trascorsa gli ricorda un 5 maggio di tanti anni fa. Due grandi amarezze, nello stesso giorno. Anche allora, una quantità di alcool notevole, non solo per un astemio come lui, non riuscì a soffocare il suo dolore. Stasera il destino gli ha preparato una beffa ancora più raffinata. Dopo che i suoi sogni sono stati infranti brutalmente, è stato costretto ad una lunga e mesta recita nel ristorante italiano in cui ha invitato Martina. Ha dovuto nascondere il suo stato d’animo, mostrandosi, anche con l’aiuto del vino, allegro e cordiale. Ha saputo, infine, che il fidanzato di Martina studia medicina in Italia — a Bologna — ciò che spiega l’“invisibilità” che ha tratto in inganno Marco.

Non bisogna pensare che Marco sia angustiato per il fatto di essersi esposto intempestivamente. Per tanti giorni è stato tormentato dal problema dello “stato civile” di Martina, ma si trattava, per così dire, di un problema “formale”. Ciò che a Marco premeva era Martina, ed avendo a lungo cullato l’illusione di averla per sé, l’infelice conclusione di questa sera gli ha fatto male.

Ora è sdraiato sotto un albero, interamente svuotato. Ha covato dentro di sé, per alcune ore, una rabbia infinita. Ha avvertito un senso di crescente ribellione, tanto più disperato quanto più nitidamente percepiva l’irrimediabilità del fallimento. Una ribellione, si badi bene, non ai fatti, ma alla stessa esistenza. Non potendo scendere dal mondo, Marco si è dibattuto con ostinazione fino a spegnersi lentamente. Immagini di una situazione di questo genere riemergono confusamente dalla sua memoria. Quattro anni fa, periferia di Firenze. L’allontanamento disgustato dalla compagnia, una cena solitaria, lo sguardo torvo, un po’ di pane, molti bicchieri di vino. Una mancia generosa, la fuga con le ultime energie (guai a mostrare la propria ubriachezza), una scorciatoia deserta, nel buio. L’attraversamento di una strada trafficata (le automobili pericolosamente vicine), infine l’albergo.

Ora Marco giace sull’erba, nel bosco di **, esattamente come allora sul letto della sua stanza in quell’albergo fiorentino.

Depresso oltre ogni immaginazione.

«Il sogno svanì all’alba», riesce a dire. Per poi pensare che, se mai è possibile provare, in vita, qualcosa di simile alla morte, ora egli lo sta provando. E con questo pensiero incastrato nella mente, si addormenta.

             Avrei voluto amarti

             ma non ti ho raggiunta

             Avrei voluto adorarti

             ma non ti sei accorta di me.

             Avrei voluto …