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Disamistade

Disamistade

C’era un paese, approssimativamente a metà strada tra Oniferi e Mamoiada, che oggi non esiste più.

All’inizio dell’800 aveva circa settecento abitanti, quasi tutti allevatori ed agricoltori.

Fu allora che sorse una profonda inimicizia fra le due famiglie più influenti del paese. La famiglia S., dedita prevalentemente all’agricoltura, si lamentava di certi sconfinamenti di bestiame appartenente alla famiglia P. Il suo patriarca, l’ottantenne G. S., dopo vari dispetti reciproci, fece sapere al suo pari grado P. P., di dieci anni più giovane, che la cosa non sarebbe più stata tollerata.

P. P. ne parlò con i suoi sette figli, invitandoli ad una maggiore prudenza, per evitare litigi che avrebbero potuto avere conseguenze molto spiacevoli.

Sennonché il più grande di loro, il cinquantenne A. P., nota testa calda, proprio in quel periodo si era procurato chissà come un modernissimo fucile a percussione. L’aveva sperimentato con successo su maiali e cinghiali, ma smaniava dalla voglia di provarlo su un uomo. Lo fece sparando su una spalla di G. S., senza però ucciderlo. L’agonia del vecchio durò tre giorni, durante i quali ebbe modo di raccomandare ai figli moderazione nella vendetta.

Però si sa come sono i giovani. I figli di G. S. non si accontentarono di uccidere a coltellate P. P.: insieme a lui fecero fuori anche un nipote e un servo pastore che occasionalmente si trovava sul posto, evidentemente sbagliato (per lui).

Ne nacque una faida, che assunse subito connotati insolitamente virulenti. Solo il primo anno fece undici morti. Poi continuò al ritmo di cinque-sei morti ammazzati all’anno per più di vent’anni.

La faida si trascinava da più di un quarto di secolo, quando avvenne un fatto che pose termine ad essa, ed insieme alla storia del paese.

La famiglia P., volendo avere l’ultima parola, costasse quel che costasse, si spinse al di là delle regole non scritte che da secoli disciplinavano quei rapporti di inimicizia.

Per la prima volta furono “toccati” donne e bambini. Un giorno, mentre il capo della fazione avversa, Mario S., 43 anni, era al lavoro nella sua vigna, alcuni membri della famiglia P. entrarono in casa sua e gli sgozzarono la vecchia madre, la giovane moglie e i tre bambini, una femmina e due maschi, tutti sotto i dieci anni.

Da quel giorno cessarono le uccisioni.

Il paese, però, cominciò rapidamente a svuotarsi. Come se si fossero messe d’accordo, la maggior parte delle famiglie, e tra esse tutte quelle legate alla fazione di Mario S. si trasferirono, alcune nei paesi vicini, alcune nell’oristanese, alcune in Ogliastra, altre addirittura nel Sarrabus, nel Gerrei e nel Parteolla, alle porte di Cagliari. Tutti i loro terreni furono pian piano venduti, ma nessuno a membri della famiglia P. Nulla più si seppe di Mario S.: qualcuno diceva si fosse ritirato in un convento, altri erano sicuri che si fosse trasferito sul Continente.

Le case furono semplicemente abbandonate.

Dopo meno di due anni in paese restarono poco più di duecento persone, vale a dire la famiglia P. e quelle con essa imparentate.

La notte del 28 agosto del 1837, poco dopo le due, una settantina di uomini incappucciati, tra i quali si sa per certo vi fossero alcuni latitanti di Orgosolo, Oniferi e Seùlo, entrarono silenziosi in paese. Divisi in piccoli gruppi, andarono casa per casa, sfondarono le porte e, giovandosi di piccole mazze di legno delle quali erano dotati, fracassarono il cranio di tutti quelli che abitavano in paese, molti dei quali passarono senza accorgersene dal sonno alla morte.

Dopo poco più di un’ora, silenziosi come erano arrivati, quegli uomini abbandonarono il paese. Gli unici esseri umani ancora in vita erano i sei carabinieri reali che continuarono a dormire nella loro caserma, e che ebbero il loro bel daffare nelle settimane successive.

Quando la caserma fu chiusa e i militari furono trasferiti in altre caserme, nessuno abitò più nel paese. Della sua storia si continuò a parlare a lungo, ma senza farne più il nome, quasi che menzionarlo potesse evocare la maledizione che colà si era materializzata.

Finì che si perse memoria del nome del paese e anche della sua storia.

Se voi andate là, non troverete nulla. Nessuna sa più dove si trovasse, e se andate nei paesi vicini a chiedere notizie, scuoteranno la testa con diffidenza e vi chiederanno se li state prendendo in giro, o se siete persone che credono alle favole.