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Elettrocardiogramma sotto sforzo

Elettrocardiogramma sotto sforzo

Agostino Melargo sentiva spesso un senso di oppressione al petto, che sulle prime attribuì al caldo di inizio estate.

Poi cominciò ad avere qualche palpitazione; poi un dolore al braccio sinistro.

Un paio di suoi colleghi quell’anno se l’erano vista brutta, dopo aver avuto un infarto.

Quanti anni erano che non faceva un elettrocardiogramma?

Andò a guardare la cartella ove conservava i referti degli esami medici. Tre anni prima l’ultimo elettrocardiogramma, sette anni prima l’ultimo sotto sforzo. Decise che era giunto il momento di un controllo approfondito. Su internet trovò il sito di un suo vecchio compagno di liceo, il dott. Marcello Pisapia, che prometteva ogni genere di controllo sul cuore nel suo studio privato.

Fissò un appuntamento per la settimana dopo.

Continuò ad avere il senso di oppressione al petto, che però affrontò stavolta con la serenità dell’appuntamento già fissato dal cardiologo.

Il dott. Pisapia lo accolse con inattesa cordialità, mettendolo subito a suo agio.

Lo sottopose immediatamente ad un esame ecografico, durante il quale pretese che Agostino guardasse il monitor insieme a lui. Gli spiegò che aveva il cuore sano. Si vedeva solo una leggera insufficienza mitralica, che però il cardiologo non considerava significativa.

Quindi lo invitò a montare sul cicloergometro. L’assistente applicò gli elettrodi ad Agostino ed egli cominciò a pedalare.

Il dott. Pisapia gli stette accanto e gli spiegò dettagliatamente quali erano i valori che ci si attendeva da un uomo della loro età. Agostino li raggiunse a fatica, poi cominciò ad ansimare, e si fermò di botto. Gli girava la testa. Il cardiologo continuava a parlare, ma Agostino non capiva le parole. Dopo alcuni minuti da quando aveva cessato di pedalare, gli fu misurata la pressione, che risultò identica a quella misuratagli prima dell’inizio dell’esame. Il dott. Pisapia si congratulò con lui per le ottime condizioni del suo cuore. Agostino ringraziò, pagò il corrispettivo, portò via i referti degli esami, salutò e andò via.

Dunque gli esami non avevano evidenziato alcun problema cardiaco. Agostino però non riusciva a compiacersene del tutto, perché non si era ancora ripreso completamente dal malessere che lo aveva aggredito sul cicloergometro.

L’aria aperta gli fece bene. Si fermò per circa un minuto a respirare a pieni polmoni, per poi dirigersi verso la sua automobile. Quando la vide, si era quasi completamente ripreso.

Fu in quel momento che una fitta al petto indicibilmente dolorosa lo fece piegare sulle ginocchia. Si sedette in terra, poggiò con cura la cartella, nella quale custodiva il suo prezioso iPad, ed estrasse il cellulare dalla tasca interna della giacca. Era indeciso se telefonare a sua moglie oppure al 118. Scelse quest’ultimo, ma mentre cercava di fare il numero la vista gli si annebbiò, e dovette sdraiarsi.

Arrivò un’ambulanza, lo caricarono su e cercarono di farsi spiegare che cosa sentisse. Agostino provò a rispondere, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. Perse conoscenza.

Il medico che aveva cercato di rianimarlo lo consegnò al suo collega del pronto soccorso dopo avergli bisbigliato qualcosa ed aver ricevuto come risposta un cenno d’intesa.

Sul certificato di morte scrissero che Agostino Melargo era morto alle 19:05, e che la causa della morte era stato un infarto del miocardio.

Nessuno badò al fatto che nella cartella che il morto aveva tenuto con sé sino a pochi minuti prima erano contenuti i referti di due esami, appena eseguiti, che dichiaravano il suo cuore perfettamente sano.