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I bulli

I bulli

All’ora di uscita dalla scuola media, nel paese di M., si presenta un omino quasi calvo, dall’aspetto dimesso.

Attende il figlio, mingherlino come lui, il quale gli indica il gruppetto di cinque ragazzi che da qualche tempo lo tormenta, rendendogli penosa la frequenza della scuola.

L’omino si avvicina al gruppetto, che si presenta compatto, a mo’ di branco, e si rivolge a colui che ne appare il capo, un ragazzo di 14 anni con statura e corpo da adulto, aria bellicosa e sorriso da padrone del mondo.

Lo prega di lasciare in pace il figlio, invitandolo a mettersi nei suoi panni, e a trattarlo come se fosse un fratello minore.

Capisce subito, dallo sguardo irridente col quale viene ascoltato, che la missione non è destinata al successo.

Allora cambia tono: «Ve lo dico anche per voi», dice con aria risoluta, «perché altrimenti mi costringete a difendere mio figlio».

Gli sghignazzano in faccia.

Resta indeciso sul da farsi, sino a quando quelli non iniziano a ricoprirlo d’ingiurie, e il capo gli assesta un colpo vigoroso sulla nuca, a mano aperta.

«Non mi lasciate scelta», dice allora l’omino, sospirando con aria rassegnata.

La frase risoluta viene accolta con risate di scherno dai bulli. Durano giusto il tempo di vedere la mano sinistra dell’omino infilarsi all’interno della modesta giacchetta, per estrarne un piccolo revolver, un calibro 22.

Si tratta, precisamente, di un Ruger LCR a 8 colpi. Non fa una grande impressione a vederlo, ma è sufficiente a far cambiare l’espressione dei ragazzi.

L’omino spara quattro colpi, in rapida successione, e altrettanti ragazzi, tutti colpiti al petto, finiscono in terra agonizzanti.

Resta il capo dei bulli, il quale, superato l’attimo di smarrimento, gira i tacchi e scappa. Fa in tempo a fare 15 metri, prima che l’omino, con freddezza glaciale, punti il revolver sulla sua schiena e faccia fuoco. Due vertebre toraciche del ragazzo vanno in frantumi, e il giovane si affloscia come un fantoccio.

Tutti gli altri ragazzi sono scappati. Nel piazzale deserto l’omino si dirige a passo svelto verso il capo dei bulli, ne gira il corpo, e vede lo sguardo sofferente e sbigottito di quello.

«Mi dispiace», dice l’omino con tono sincero, «Vi avevo avvisato». Gli infila il revolver in bocca e fa fuoco.

Un altro colpo lo spara sul torace del ragazzo, che ormai non sente più nulla.

L’ultimo lo ha riservato a sé. Si punta il revolver alla tempia, ma in quel momento vede il suo figliuolo, che lo guarda inebetito, e cambia programma all’ultimo momento. Si china per afferrare la mano destra dell’ex bullo — quella con la quale è stato colpito sulla nuca — e con l’ultima pallottola gliela buca, come per ricordargli che la violenza torna sempre indietro.