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La colpa è delle donne

La colpa è delle donne

Prologo

La notte fra il 31 dicembre 2015 e l’1 gennaio 2016, nella città tedesca di Colonia, alcune centinaia di donne sono aggredite da un migliaio uomini, almeno in gran parte nordafricani. Ad oggi le denunce sono 521, delle quali tre per violenze sessuali.

Fatto principale

Tre settimane dopo viene pubblicata sul giornale inglese Daily Mail un’intervista di una televisione russa a Sami Abu-Yusuf, imam della moschea Al Tawheed di Colonia che predica il salafismo, una forma ultra conservativa dell’Islam sunnita. Secondo quanto riportato, costui avrebbe dichiarato, in relazione alle aggressioni denunciate a Colonia, che «la colpa è delle donne. Non c’è da sorprendersi che vestendosi mezze nude gli uomini le abbiano aggredite. E’ come mettere benzina sul fuoco».

Commento

Ovviamente le dichiarazioni del nostro amico imam hanno suscitato qualche malumore, e commenti poco benevoli.

Ecco i miei due centesimi.

Nel discorso dell’imam si intrecciano, più o meno consapevolmente, un’affermazione di fatto e un giudizio di valore.

L’affermazione di fatto potrebbe essere così formulata: L’abbigliamento succinto aumenta le probabilità che le donne siano oggetto di aggressione sessuale.

E’ un’affermazione che può essere vera o falsa. Per stabilire se sia vera o falsa serve un’indagine scientifica, di tipo sociologico. Probabilmente indagini di questo tipo sono già state fatte. Non mi sorprenderebbe sapere che esse confermano quell’affermazione di fatto. Mi sembra ragionevole supporre che donne giovani, belle, poco vestite, profumate, dall’aspetto curato, che vanno in giro da sole, di notte, etc. abbiano maggiori probabilità di essere oggetto di aggressione sessuale. E’ più o meno ciò che sembra sostenere l’imam quando afferma che «non c’è da sorprendersi che vestendosi mezze nude gli uomini le abbiano aggredite. E’ come mettere benzina sul fuoco». Gli uomini, per quanto civilizzati, restano animali, e come tali tendono a comportarsi, subendo l’influenza di pulsioni determinate dagli ormoni prodotti dai loro corpi, e da determinati stimoli visivi, olfattivi etc.

Però sembra che l’imam abbia anche detto che «la colpa è delle donne». Se l’ha detto, ha formulato quello che suona come un giudizio di valore. Evidentemente è questa la parte problematica del discorso.

La mia ipotesi è che abbiamo a che fare con un classico caso di fallacia naturalistica, vale a dire un errore di ragionamento consistente nella infondata pretesa di derivare norme da fatti. L’espressione è stata coniata dal filosofo inglese George Edward Moore, che la usa per la prima volta in un’opera pubblicata nel 1903 (Principia Ethica).

Che rapporto c’è tra l’affermazione di fatto e il giudizio di valore?

Partiamo dall’ipotesi che sia corretta l’affermazione di fatto. Donna poco vestita causa aumento di probabilità di violenza sessuale. Da questo, a rigore, non sembra possa trarsi alcun giudizio di valore.

Però dall’affermazione di un rapporto causale si può trarre una regola tecnica: se vuoi evitare la conseguenza, evita di porre in essere la causa. Questa, nonostante la formulazione in termini normativi, non è esattamente una prescrizione, o perlomeno non è una prescrizione di tipo morale. E’ solo una riformulazione del rapporto di causalità. Se vuoi minimizzare il rischio di subire violenza sessuale, devi evitare di andare in giro poco vestita.

Questa, che potremmo chiamare una regola di prudenza, non ha nulla che vedere con un giudizio sulla moralità della donna che va in giro poco vestita. Un conto è il rapporto causale, un conto è la “colpa”.

Il nostro imam invece fa disinvoltamente il salto: dalla benzina sul fuoco (= rapporto causale) alla colpa (= giudizio morale). La donna è colpevole. Dalla regola tecnica “Se vuoi minimizzare il rischio di subire violenza sessuale, devi evitare di andare in giro poco vestita” si passa alla regola assoluta “Devi evitare di andare in giro poco vestita”. La sanzione della violazione della regola è l’aggressione sessuale, che diventa lecita in conseguenza del comportamento illecito della donna.

E’ un ragionamento fallace, eppure straordinariamente diffuso anche nella cultura occidentale. Ciò non deve sorprendere, perché la fallacia naturalistica è alla base del giusnaturalismo, che è parte integrante della dottrina cattolica. Il deprecato ragionamento dell’imam è qualcosa di familiare, ci sono stati e ancora ci sono preti cattolici che lo formulano quotidianamente, chi in modo brutale, chi in modo più circospetto.

D’altra parte, anche persone scarsamente propense alla religiosità parlano di donne dall’aspetto “provocante”. Questa è una formidabile spia culturale. La provocazione, nel nostro ordinamento penale, non è una causa di giustificazione, ma una circostanza attenuante. Vale a dire: non evita la pena, ma comporta una sua diminuzione. Secondo l’articolo 62 n. 2) del nostro codice penale, attenua il reato «L’aver agito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui».

Ecco: nella nostra cultura, ancora oggi, la donna poco vestita e ben profumata commette un fatto ingiusto, provoca il povero maschio che, in fin dei conti, può essere compreso se alla fine non resiste e allunga le mani.

Dobbiamo liberarci di questo errore di fondo, anzitutto noi occidentali. Questo ci renderà più facile spiegare ai nostri fratelli immigrati che da noi le donne possono andare in giro vestite e profumate come vogliono, e che, se vogliono vivere in Europa, devono imparare a tenere le mani a posto, e rassegnarsi al fatto che le loro figlie potranno andare in giro vestite e profumate come vogliono.