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L’invincibile

L’invincibile

Dopo diciannove mosse, l’armeno propose la patta.

Michail Botvinnik, in­fastidito dal fatto che il rivale l’avesse proposta per primo, corrugò i soprac­cigli ed oppose un secco rifiuto, accompagnato da un leggero cenno del capo. Tigran Petrosjan giocò allora la propria mossa con apparente noncuranza ed attese la risposta del campione.

Botvinnik si sforzava di concentrare la propria attenzione sulla scacchiera. La posizione era interessante. Tre mosse prima l’armeno aveva tentato di sor­prenderlo con un’innovazione teorica, ma Botvinnik aveva trovato una replica efficace, conservando un piccolo vantaggio. Ora egli osservava i pezzi disposti sulla scacchiera, ma, benché cercasse con tutte le proprie forze di cogliere la trama che li rendeva solidali, quel filo invisibile che li legava uno all’altro secondo una misteriosa armonia che ogni campione sa di dover realizzare, essi gli apparivano slegati ed addirittura ribelli, quasi volessero scappare via dalla scacchiera.

Lo sguardo stanco del campione sovietico sembrava affondare nel tempo, fantasmi del suo passato prendevano il posto delle figure. Il cavallo assumeva le sembianze di David Bronstejn, l’alfiere aveva il volto di Vasilij Smyslov, la torre quello di Michail Tal di Riga. La Donna era Petrosjan, l’armeno di granito. Davanti a loro, una folla immensa di pedoni che si chiamavano Keres, Euwe, Flohr, Reshewsky, Ragozin, Tajmanov, Geller, e molti altri il cui nome non direbbe niente a nessuno.

Ma il re, il re, per Dio, si chiamava ancora Botvinnik. Botvinnik campione del mondo da quindici anni, da quel lontano 1948, quando, proprio a lui, era toccato di raccogliere l’eredità di Alechin il Grande Campione. Che sapore quel trionfo!

Il giovane Botvinnik era cresciuto nel culto dell’agonismo. Sapeva che doveva combattere, sapeva che doveva vincere. E sapeva che un giorno sarebbe stato il più grande di tutti.

Così nacque Botvinnik l’Invincibile.

A 37 anni giunse il titolo mondiale e la definitiva, incontestabile con­sa­crazione.

Due volte Botvinnik fu spodestato dal suo trono, due volte non rimase a fare inutili drammi, due volte si preparò minuziosamente alla rivincita, due volte si riprese il titolo vincendo con una superiorità quasi irridente, conso­li­dan­do il mito della sua invincibilità.

Questo fece Botvinnik l’Invincibile, approfittando dei suoi anni migliori.

Ma ora? Botvinnik campione del mondo a 52 anni sembra quasi una sfida alla natura, e davanti a lui c’è il giovane armeno Tigran Petrosjan, diventato famoso come Re delle Patte. E gli basta una patta per vincere il match, per strappare a Botvinnik quel titolo al quale per quindici anni è rimasto tenacemente aggrap­pato.

Tutti questi pensieri, e mille altri ancora, si affollavano nella mente del cam­pione mentre cercava di concentrarsi sulla scacchiera. Sennonché risultava un sforzo superiore alle sue possibilità. Intanto fu attratto dal riflesso della sua immagine sull’orologio da torneo e, istintivamente, controllò il tempo. Si accorse di aver consumato quasi mezz’ora, contro i cinque minuti scarsi di Petrosjan. La sua attenzione si diresse nuovamente verso la scacchiera. La lancetta rossa del­l’oro­logio continuava incessante il suo movimento, sinonimo del tempo che scorreva, placido ma implacabile.

Botvinnik l’Invincibile.

Allo scadere della mezz’ora, la caduta della bandierina fece sussultare il campione del mondo. Alzò il volto e scorse la figura impenetrabile di Tigran Petrosjan.

«Bravo Micha. Sei un piccolo campione».

Nella mente di Botvinnik riprendevano a scorrere immagini di un passato ormai lontano e impalpabile. La grande simultanea. I complimenti del grande maestro. Il primo campionato panfederale.

Botvinnik l’Invincibile.

Nel silenzio opprimente della sala, Botvinnik si sentì improvvisamente stanco, come mai gli era capitato nella sua vita. E mentre il desiderio della pace si faceva strada in lui, la sua mente andava lentamente svuotandosi di quei fantasmi che l’avevano oppressa.

Il campione del mondo cercò di incrociare lo sguardo di Petrosjan, ma questi sembrava attratto unicamente dalla scacchiera.

Botvinnik allora si alzò e, appena il rivale ebbe sollevato lo sguardo, con un sorriso triste tese la mano destra verso di lui.

L’armeno si alzò a sua volta, e strinse la mano del cam­pio­ne.