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Quod abundat vitiat

Quod abundat vitiat

Ieri ho partecipato ad un evento formativo, destinato a fare il punto sull’attuazione del processo civile telematico presso il tribunale di Cagliari.

Il dottor Angelo Leuzzi, presidente di sezione del tribunale, ha illustrato alcune recenti pronunce di giudici di merito in materia di ammissibilità di depositi telematici e cartacei di atti giudiziari. Ha spiegato che nel nostro tribunale i giudici hanno scelto di prevenire siffatte controversie, cercando per quanto possibile di privilegiare la sostanza sulla forma. Non a caso, nessuna delle stravaganti decisioni in questa materia, note ormai agli avvocati di tutta Italia, proviene dal tribunale di Cagliari.

Il dottor Leuzzi ha anche evidenziato che sono cresciuti in misura imponente gli atti depositati telematicamente dai giudici del tribunale.

Il tipo di atto nel quale tale pratica non è ancora sviluppata in misura soddisfacente è il verbale d’udienza. Solo tre giudici su ventuno scrivono direttamente il verbale d’udienza sulla consolle del magistrato, mentre gli altri proseguono con la consueta pratica del verbale cartaceo.

C’è una differenza importante tra le due modalità di redazione del verbale. Col verbale cartaceo io posso prendere il fascicolo, scrivere le mie due fesserie, posare il fascicolo e andare a fare altro. Dopo un po’ ripasso e se il difensore della controparte ha scritto a sua volta, aggiungo i miei due centesimi (se necessario), e insieme al mio collega mi presento davanti al giudice perché provveda sulle nostre richieste, ovvero si riservi di farlo successivamente. Col verbale telematico devo invece presentarmi insieme al collega avversario davanti al giudice, il quale mette per iscritto le nostre richieste, che formuliamo verbalmente, e poi decide o si riserva di farlo. Questa seconda modalità al momento è un po’ penalizzante perché comporta di regola una maggiore perdita di tempo per gli avvocati e per il giudice.

Per consentire di redigere il verbale in forma digitale senza questa penalizzazione, in qualche tribunale (a partire da quello di Grosseto) si usa da tempo una nota applicazione web chiamata Note di udienza.

Il dott. Paolo Piana, magistrato di riferimento per l’informatica addetto al settore civile del tribunale di Cagliari (nonché maggior redattore di verbali telematici nel medesimo tribunale) era uno dei relatori dell’evento di ieri, ed ha illustrato le caratteristiche di tale applicazione, manifestando l’intenzione di sperimentarla nella sua attività di udienza.

Il dott. Piana ha tuttavia manifestato il timore che il ricorso a questo strumento potrebbe perpetuare il maggior degli inconvenienti del verbale cartaceo: l’incontinenza verbale di molti avvocati, che dà luogo alla stesura di verbali fluviali, difficili da leggere sia per il difensore della controparte che per il giudice.

Questo articolo è diretto ad avvocati e magistrati e quindi non mi attarderò a spiegare di che cosa si tratta. E’ un triste fenomeno frutto di una tradizione culturale che sta cambiando, ma non rapidamente come sarebbe desiderabile.

Per quanto mi riguarda, non posso che condividere l’atteggiamento di insofferenza per i discorsi ridondanti dei miei colleghi. Col tempo, per la verità, ho sviluppato le mie difese. Nella prima udienza della causa, ad esempio, di regola metto a verbale questa frase: «E’ comparso per l’attore (il convenuto) l’avvocato Agostino Mario Mela, il quale chiede la concessione dei termini ex art. 183 comma 6 cpc». Solo se rappresento l’attore e devo contestare specificatamente affermazioni del difensore del convenuto espresse nella sua comparsa di risposta, aggiungo: «l’avvocato Mela contesta la verità delle seguenti affermazioni contenute nella comparsa di risposta… (seguono le affermazioni contestate, tra virgolette)». Se il mio collega appartiene alla “scuola del discorso ampolloso e ridondante” scriverà due pagine di verbale nelle quali dirà le stesse cose che ho detto io. Poiché ormai riconosco queste pappardelle a colpo d’occhio, le salterò a pie’ pari e presenterò il fascicolo al giudice perché conceda i termini richiesti da entrambe le parti.

Secondo me non spetta al giudice il compito di moderare l’esuberanza verbale degli avvocati. Il tempo che egli perde per svolgere questa funzione impropria può essere speso meglio, senza contare che in questo modo il magistrato penalizza ingiustamente (dissipando anche il tempo di costui) il difensore sobrio.

La sobrietà va insegnata ed imparata prima, se possibile già nella facoltà di giurisprudenza, o quantomeno nelle scuole di specializzazione per le professioni legali (come ho cercato di fare io nel mio piccolo, nei corsi che vi ho tenuto).

Non la può insegnare il giudice all’avvocato. Quest’ultimo, se non l’ha imparato studiando teoria della persuasione, dovrebbe averlo capito dopo qualche anno di pratica della professione: chi più scrive, meno viene letto. Certo, scrivere meno è faticoso, bisogna individuare tra i tanti discorsi potenzialmente sviluppabili tutti e soli quelli rilevanti, ed esporli in modo succinto. Però il giurista questo deve saper fare, se vuol essere considerato giusperito. E se invece è pigro e/o imperito, è giusto che paghi per il proprio difetto di diligenza e/o di perizia.