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Una riforma equilibrata della disciplina della prescrizione dei reati

Una riforma equilibrata della disciplina della prescrizione dei reati

Sta per entrare in vigore la riforma della disciplina della prescrizione dei reati, inserita con un emendamento nella legge anticorruzione approvata nel dicembre 2018. La chiamerò riforma Bonafede, dal nome del ministro della giustizia che non perde occasione per tesserne le lodi.

Con le nuove regole il decorso dei termini di prescrizione dei reati si interrompe dopo la sentenza di primo grado di giudizio, sia essa di condanna o di assoluzione. 

Chi ha pensato questa riforma è stato più realista del re: l’associazione nazionale magistrati aveva proposto da tempo di eliminare la prescrizione solo dopo una sentenza DI CONDANNA.

Basta un semplice ragionamento per capire quanto sbagliata sia questa riforma.

Ci sono due interessi contrapposti in gioco: quello della comunità, alla punizione dei reati; quello degli individui, a non essere sottoposti a procedimenti penali per una parte importante della loro vita.

La riforma Bonafede privilegia interamente il primo interesse, a scapito del secondo. Il cittadino inquisito, colpevole o innocente che sia, diventa carne da macello.

Per me è una riforma incompatibile con la nostra civiltà giuridica.

Ci sarebbero mille modi per fare una riforma equilibrata, che tuteli maggiormente l’interesse della comunità alla punizione dei reati.

Per esempio, allungare di uno o due anni il termine di prescrizione dopo una sentenza di condanna in primo grado, e sospendere la decorrenza del termine in caso di condanna ribadita in appello. È triste vedere quanti reati si prescrivano in cassazione, dopo che due giudici di merito si sono pronunciati a favore della responsabilità dell’imputato.

Sarebbe bene, però, che in caso di cassazione con rinvio il termine riprendesse a decorrere, perché altrimenti si torna al processo infinito.

Il ministro Bonafede dice che non ci sarà processo infinito, perché il processo penale sarà riorganizzato in modo da farlo durare meno. È facile rispondere che, se si è in grado di far durare meno il processo, non c’è bisogno di sospendere il termine di prescrizione. Credo che chiunque abbia qualche decennio di pratica del processo penale possa immaginare che l’unica cosa che cambierà sarà la durata dei processi, che inevitabilmente si allungherà.

I laudatores della riforma Bonafede sostengono che l’opposizione compatta degli avvocati alla riforma sia motivata da un interesse personale. In altre parole, gli avvocati avrebbero interesse ad ottenere l’estinzione dei reati dei propri assistiti.

A me sembra un’opinione insensata.

Chi ha interesse all’estinzione del reato è il cliente, non l’avvocato. Quest’ultimo, anzi, verosimilmente può trarre un vantaggio economico dal fatto che il cliente stia sulla graticola a tempo indeterminato.

E vogliamo anche dirlo, che gli avvocati non difendono solo gli imputati, ma anche le parti civili?

Per finire, una piccola previsione.

La riforma Bonafede, ammesso che entri in vigore, non sopravviverà a lungo; non abbastanza da fare danni. Ci penserà la politica, quella ragionevole, quella civile.

E se non ci penserà la politica, ci penserà la corte costituzionale. Il nostro ultimo baluardo contro l’inciviltà della politica improvvisata.